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L'identificazione dello scheletro transgender

Bandiera Transgender 

Per un antropologo forense, l'identificazione del sesso è uno degli step principali nella costruzione del profilo biologico di un individuo. Soprattutto nell'identificazione delle vittime di un crimine o di persone scomparse, conoscere il sesso dell'individuo in questione diventa fondamentale per stabilirne l'identità.
Tuttavia, un grande limite dell'identificazione del sesso biologico di un soggetto è la visione binaria, ovvero nettamente divisa in femmina/maschio, che si ha nell'antropologia e nella scienza in generale. Questo limite si riflette anche e soprattutto nel pensiero comune permeato dalla eteronormatività, ossia la convinzione che l'eterosessualità, la netta divisione del mondo in donna/uomo, e i ruoli di genere siano l'unica forma ammissibile di normalità, e che tutto il resto sia "anormale" dal punto di vista biologico e "immorale" o "deviato" dal punto di vita etico. Questa visione dualistica della realtà è, oltre che del tutto errata ed estremamente limitativa, causa di errori anche importanti dal punto di vista scientifico, nonché di pregiudizio, discriminazione e violenza verbale e fisica nei confronti di tutti quei soggetti che non rientrano nello "standard" eteronormativo. La natura umana è infatti caratterizzata da un'infinità di "versioni", che andrebbero tutte prese in considerazione e viste NON come alternative o addirittura patologiche, ma come semplici facce della stessa medaglia.

Nel caso dell'identificazione del sesso in antropologia, è di fondamentale importanza considerare innanzitutto l'esistenza e poi l'eventuale presenza di individui intersex, ovvero soggetti la cui anatomia sessuale non rientra nella definizione dualistica di donna/uomo, e transgender e transexual, ossia soggetti la cui identità ed espressione di genere non coincidono con il sesso assegnato loro alla nascita (la differenza tra transgender e transexual sta nella transizione medico/chirurgica dei transexual). Le ossa che un antropologo si ritrova ad analizzare permettono sì di estrapolare informazioni biologiche sul soggetto in questione, ma è anche vero che queste informazioni possono non corrispondere all'identità che quella persona dava a sé stessa o che la società in cui viveva le dava. I tratti scheletrici dicono (nel migliore degli scenari) quale fosse il sesso biologico dell'individuo, ma non dicono assolutamente nulla su identità di genere, espressione di genere, o orientamento sessuale dello stesso.
In ambito forense, la confusione purtroppo ancora diffusa tra sesso e gender può rivelarsi un problema nei casi in cui la vittima o la persona scomparsa sia transgender o transexual. Ad esempio, se la polizia sta cercando una donna trans, a cui era stato assegnato il sesso maschile alla nascita, i dati che verranno diffusi saranno quelli maschili del soggetto, perché la polizia come ogni altro organo pubblico è in possesso dei dati anagrafici delle persone; il cambio dei dati anagrafici è l'ultimo e più faticoso step nel cambio di sesso, quindi nella gran maggioranza dei casi un soggetto transgender (e non necessariamente transexual) rimane nei registri pubblici con i dati anagrafici assegnati alla nascita. Questo processo viene definito "deadnaming", che esprime l'abitudine o pratica di chiamare una persona con il nome che questa aveva prima della sua transizione. Oltre ad essere molto irrispettoso, il deadnaming può rivelarsi disastroso nel forense, perché una vittima trans di un crimine non verrebbe mai identificata, o peggio, una persona trans scomparsa non verrebbe mai ritrovata perché i dati diffusi non sono corretti. Se un corpo venisse ritrovato assieme ad altri elementi che potrebbero aiutare nell'identificazione o in una zona familiare alla vittima dove vi sono testimoni e conoscenti, una corretta identificazione potrebbe essere ancora possibile; tuttavia, se un corpo venisse ritrovato altrove e senza alcun altro elemento identificativo, diventa più che probabile che ad una donna trans venga erroneamente assegnato il sesso maschile e ad un uomo trans venga altrettanto erroneamente assegnato il sesso femminile, innescando così un meccanismo che porterà ad un'investigazione dagli esiti fallimentari. Per questo, teoricamente una soluzione, seppur parziale, potrebbe essere registrare ogni individuo non solo con informazioni sul suo sesso, ma anche sulla sua identità di genere, anche se c'è da considerare che non tutti i trans (iperonimo che abbraccia ogni definizione, tra cui 'cross-dresser', transgender e transexual) hanno fatto outing e quindi non vogliono o possono permettere che si conosca la loro identità di genere. 

La scienza continua a mostrarci come non solo per il gender, ma anche per il sesso biologico spesso la divisione binaria in donna/uomo è troppo semplicistica e non abbraccia tutti gli scenari possibili. Sebbene i numeri specifici non siano certi, è stato calcolato che più o meno l'1.7% dei bambini rientri nella categoria degli intersex. Inoltre, almeno 1 ogni 1000 individui sembra mostrare una qualche forma di sviluppo cromosomico, ormonale, gonadico o anatomico che condiziona il corpo e porta all'emergere di caratteristiche sessuali secondarie. Un esempio di come la divisione netta in donna/uomo sia restrittiva e problematica è la questione che spesso emerge nel mondo dello sport, in particolare nell'atletica, quando emergono casi non così rari di atleti a cui viene ingiustamente vietato di competere perché mostrano caratteri sessuali considerati solitamente come tipici del sesso opposto e che si ritiene possano avvantaggiare l'atleta in questione, nonostante quest'ultimo/a/i non faccia uso di supplementi ormonali di alcun tipo. Un esempio recente di decisioni ingiuste in questo senso è la vicenda che ha coinvolto l'atleta olimpica Sudafricana Caster Semenya https://it.wikipedia.org/wiki/Caster_Semenya
Oltre al comportamento, all'identità di genere o orientamento sessuale, anche i caratteri strettamente biologici tendono a sovrapporsi e intrecciarsi. Infatti, essendo gli umani molto meno sessualmente dimorfi rispetto agli altri primati, identificare con precisione il sesso di un soggetto non è poi così semplice, anche in antropologia forense/biologica.

I metodi correntemente usati in antropologia per stimare il sesso dell'individuo comprendono tratti metrici e non metrici, questi ultimi rappresentati da scale di gracilità/robustezza o presenza/assenza di determinati tratti. Si considera la pelvi come la parte dello scheletro che permette un sexing più certo, stimato come esatto nel 90% dei casi. Generalmente, le principali differenze non metriche tra la pelvi maschile e femminile sono le seguenti:

  • Nelle femmine, la pelvi è più larga, per fare spazio al feto; le insenature in generale, in particolare la tacca sciatica maggiore e l'angolo subpubico, sono più ampie; il solco preauricolare è presente; l'acetabolo è più piccolo;
  • Nei maschi, la pelvi è più alta, la cresta iliaca più verticale; le insenature in generale sono più strette; il solco preauricolare è assente; l'acetabolo è più grande.

Pelvi tipicamente maschile e pelvi tipicamente femminile. Source: Stanford Medicine

Un altra parte dello scheletro utilizzata per la determinazione del sesso è il cranio, che è considerato accurato tra il 53 e l'80% dei casi. I principali elementi che si osservano sono: la glabella, la cresta sopraorbitale, le linee temporali e nucali, le cavità nasali e paranasali, i condili occipitali, e il processo mastoide, tutti elementi solitamente più grandi o marcati nei maschi; inoltre, il cranio maschile tende ad avere frontali e parietali più piatti e orbite dalla forma più quadrata. La mandibola maschile tende a mostrare una maggiore eversione goniale, un ramo mandibolare più profondo, un mento più grande e quadrato, ed attaccamenti muscolari più rugosi.
Alcune differenze potrebbero essere visibili anche nella dimensione dei denti, anche se non  è considerato un metodo del tutto affidabile; le ossa lunghe possono mostrare differenze, in termini di robustezza/gracilità e rugosità degli attaccamenti muscolari, ma anche in questo caso vi sono molti altri fattori da considerare, come l'occupazione (ad esempio un'atleta donna avrà certamente le ossa lunghe ben più robuste di un uomo dal fisico gracile e che conduce una vita sedentaria).
Sia nella pelvi che nel cranio, ogni elemento osservato viene valutato su una scala che va da 1 a 5, dove 1 è gracile/femminile e 5 è robusto/maschile. Solitamente la categoria 3 è quella di pelvi o cranio che presentano caratteristiche di entrambi i sessi o che non sono del tutto chiare; i soggetti che rientrano in questa categoria vengono registrati con un punto interrogativo o come 'indeterminati'. Il numero 3 si presenta molto spesso in antropologia, ma questo non significa che tutti gli individui valutati 3 siano intersex o trans; la frequenza del 3 è l'ulteriore dimostrazione del fatto che gli scheletri umani molto più spesso di quanto si pensi non mostrino caratteri estremamente maschili o femminili, sia per natura (si pensi per esempio ad una donna molto alta e con i fianchi stretti) che per gli effetti del tempo: ad esempio, la mandibola di un uomo che ha perso i denti si restringerà nel tempo e potrà apparire come femminile agli occhi di un antropologo. 
La questione diventa particolarmente difficile con le ossa di individui intersex o trans. Come appare lo scheletro di una persona intersex dalla nascita? Oppure, come appare lo scheletro di una persona che si è sottoposta a terapia ormonale sin dall'adolescenza o a chirurgia di riassegnazione del sesso? Inoltre, lo spettro di variazioni è anche più ampio di quello femmina-maschio-intersex-trans, perché vi sono anche casi di soggetti che presentano variazioni cromosomiche (che non rientrano nello "standard" XX/XY) o di sviluppo, come ad esempio la sindrome da insensibilità agli androgeni, dove il soggetto ha un genotipo maschile ovvero XY, ma sviluppa caratteri sessuali femminili.

I soggetti che si sono sottoposti ad interventi chirurgici di riassegnazione del sesso possono risultare particolarmente difficili da identificare dal punto di visto bioantropologico. Coloro che si sottopongono a suddetti interventi vengono innanzitutto riconosciuti come soggetti con disforia di genere, ovvero caratterizzati da una sentita incongruenza tra il sesso assegnato loro alla nascita e la loro identità di genere, il che è spesso (o sempre) causa di forte disagio psicologico; di conseguenza, queste persone nutrono un forte desiderio di alleviare la disforia ed il disagio attraverso modificazioni di tipo estetico. 
Le modificazioni di tipo chirurgico sono molto più comuni nella transizione maschio->femmina che in quella femmina->maschio (abbreviate in inglese M to F/F to M, o MTF/FTM o M2F/F2M). 
I soggetti che hanno iniziato la transizione M to F da adolescenti in molti casi non devono neanche ricorrere alla chirurgia, perché la terapia ormonale da sola se fatta in fase di sviluppo basta a non far emergere tratti tipicamente maschili. Le cose stanno diversamente per chi inizia la transizione in età adulta. Tra le modificazioni chirurgiche dell'osso a cui una persona trans M to F può sottoporsi vi sono la rimozione di costole per assottigliare il busto e l'amputazione del quinto dito del piede per assottigliarne e femminilizzarne la figura (quest'ultima procedura viene comunemente definita "chirurgia dello stiletto"). Tuttavia, la parte dello scheletro dove si concentra la gran parte degli interventi chirurgici di transizione sesso è il cranio. È possibile anche ricorrere a fillers, impianti ed innesti di tessuto grasso, ma queste sono soluzioni che pur essendo veloci e meno invasive non sono durature e possono subire alterazioni con l'avanzamento dell'età. Gli interventi chirurgici più comuni di femminilizzazione del viso sono:
- Riduzione dell'osso frontale
- Riduzione dei bordi orbitali
- Rinoplastica (naso)
- Riduzione del bordo inferiore della mandibola e dell'angolo mandibolare
- Genioplastica (mento) 

Rimodellamento osseo del cranio M to F, prima e dopo. In verde, un cranio femminile, per il confronto. Al centro: riduzione dell'osso frontale, riduzione dell'angolo mandibolare, riduzione ed arrotondamento del mento. Source: Hoang et al., 2020

Un tipo di intervento più complesso prevede l'aumento dell'area zigomatica. Le ossa zigomatiche vengono riposizionate anteriormente e ruotate, per poi essere fissate con piastre di titanio.

Riposizionamento anteriore delle ossa zigomatiche. Sono visibili le due piastre di titanio usate per ricollegare lo zigomatico al cranio. Source: Lundgren & Farnebo, 2017

Siccome in antropologia l'assegnazione del sesso di uno scheletro è principalmente affidata alla pelvi,  è probabile che anche una persona trans M to F che si sia sottoposta a chirurgia craniale venga comunque identificata come uomo, se si ignorano gli "indizi" che un cranio chirurgicamente modificato può dare. Quindi, se un profilo biologico errato finisce nelle mani della polizia, quest'ultima continuerà a cercare la persona sbagliata. Gli antropologi forensi devono essere a conoscenza dei segni lasciati dagli interventi ossei di riassegnazione del sesso, o devono comunque considerare la possibilità non troppo remota che una persona con una pelvi maschile ed un cranio di assegnazione dubbia possa essere trans. A rendere ancora più complicata la cosa c'è anche tuttavia il fatto che eventuali segni di rimodellamento facciale potrebbero anche essere legati alla correzione di traumi, e non necessariamente alla riassegnazione del sesso.

Molto più comuni degli interventi chirurgici ossei sono le terapie ormonali sostitutive, utilizzate sia nella transizione M to F che in quella F to M. Queste terapie vedono i soggetti M to F assumere estrogeno ed antiandrogeni ed i soggetti F to M testosterone, allo scopo per entrambi di ottenere i desiderati cambiamenti corporei. L'impatto delle terapie ormonali sui tratti ossei non è ancora ben documentato. Soprattutto nei casi in cui la transizione avvenga dopo la pubertà, i cambiamenti a livello osseo saranno probabilmente minimi o impercettibili. Una delle poche semi-certezze è che negli uomini transgender (F to M) una terapia ormonale sostitutiva può far crescere la forza muscolare e quindi far sviluppare ossa più robuste ed attaccamenti muscolari più marcati.
Nei soggetti nati maschi, il testosterone stimola il processo di apposizione periostale, il che porta ad una maggiore dimensione dell'osso corticale e ad ossa generalmente più grandi di quelle femminili. Nei soggetti nati femmine, l'estrogeno inibisce l'apposizione periostale ma stimola la formazione ossea endostale. Tuttavia, ricerche più recenti hanno dimostrato come gli androgeni negli uomini abbiano anche un ruolo nel rimodellamento dell'osso spugnoso, con l'estrogeno che invece regola il rimodellamento della corticale. È stato inoltre dimostrato che nelle donne prima della menopausa gli alti livelli endogeni di estrogeno inibiscono un eccessivo riassorbimento dell'osso, e sembrano aiutare nella formazione sia di osso corticale che di spugnoso. Quindi, l'estrogeno è lo steroide dominante che regola il riassorbimento e la formazione di osso nei soggetti di ogni sesso.
Eventuali variazioni ormonali non sono necessariamente dovute ad una terapia di transizione. Infatti, gli uomini con deficit di aromatasi (l'enzima che sintetizza gli estrogeni dagli androgeni) hanno solitamente una minore massa ossea, a dimostrazione che l'estrogeno è un importante regolatore di acquisizione ossea anche negli uomini. Nelle donne, la perdita di estrogeno in menopausa porta ad una maggiore attività osteoclastica e quindi ad un'accelerata perdita ossea. Nelle donne con sindrome dell'ovaio policistico con iperandroginismo è stata riscontrata una maggiore densità minerale ossea, mentre le donne con sindrome da insensibilità agli androgeni sembrano avere una minore densità ossea, il che può indicare che il testosterone condiziona la densità ossea anche nelle donne.

Vi sono determinate complicazioni, come osteoporosi e malattie croniche cardiovascolari, che vengono solitamente associate alle terapie ormonali. 
Negli individui maschi di nascita, l'osso spugnoso sembra essere più incline al deterioramento perché resistente all'estrogeno, a causa della presenza significativa di recettori degli estrogeni beta (Reβ) che antagonizzano l'azione dei recettori alfa (Reα), dalla funzione proliferativa. Al contrario, l'osso corticale presenta quantità minime di Reβ, per cui è molto più sensibile all'azione dell'estrogeno. Il problema nell'osso spugnoso viene risolto naturalmente dal testosterone, come detto sopra. Nelle donne trans (M to F) però, gli alti livelli di estrogeno esogeni ovvero assunti nella terapia ormonale e la diminuzione di testosterone (in particolare in coloro che si sottopongono ad orchiectomia, o rimozione dei testicoli) possono causare un deficit nell'osso spugnoso. Per queste ragioni, le donne transgender corrono rischi di frattura maggiori.

Vertebra sana e vertebra con osteoporosi. Source: Colorado Spine Institute

La probabilità dell'insorgenza di malattie cardiache sembra essere piuttosto alta sia tra le donne (M to F) che tra gli uomini transgender (F to M). Le ragioni sono le seguenti:
- nella transizione M to F, la terapia a base di estrogeni aumenta di ben 5 volte il rischio di tromboembolismo venoso. Questo succede anche nelle donne cisgender (donne alla nascita che rimangono donne e si accettano come tali) che fanno un uso prolungato della pillola anticoncezionale;
- nella transizione F to M, la terapia a base di testosterone fa sì aumentare l'emoglobina (che invece si abbassa nelle M to F), ma può portare ad aumento di colesterolo LDL (quello 'cattivo') e diminuzione di colesterolo HDL (quello 'buono'). 

Sono necessari più studi sulle conseguenze ossee delle terapie ormonali, in particolare in età adolescenziale. Tra l'altro, i pochi studi effettuati si sono concentrati quasi esclusivamente su soggetti Caucasici, ignorando del tutto la parte 'Black' della popolazione transgender.
Inoltre, è importante considerare il fatto che, ammesso che i soggetti trans M to F siano se non immediatamente riconoscibili almeno sospettabili (antropologicamente parlando), al momento non c'è un modo accertato per riconoscere dalle ossa una persona trans F to M, perché queste tendono a sottoporsi a molti meno interventi chirurgici, per lo meno sui tessuti duri (escludendo quelli sui tessuti molli, come seno e genitali). Per questo, la ricerca si dovrebbe concentrare di più sugli effetti delle terapie ormonali e sui cambiamenti ossei dal punto di vista istologico. Sarebbe estremamente utile la collaborazione con endocrinologi, che potrebbero osservare i cambiamenti nei soggetti in vita.

La ricerca antropologica dovrebbe tenere in considerazione anche gli individui intersex, che per quanto vengano definiti "Unicorni" per la loro presunta rarità, sono molto più comuni di quanto si pensi. Per adesso, i soggetti intersex sono stati tenuti pochissimo in considerazione in bioantropologia/antropologia forense. La morfologia dello scheletro umano è ricca di variazioni e non segue affatto il binario donna/uomo a cui si è ingiustamente abituati a pensare. Presentare tratti "ambigui" nello scheletro può dire tutto e niente, visto che anche femmine o maschi che tecnicamente rientrano nelle rispettive categorie possono presentare tratti misti. In molti casi, un antropologo forense semplicemente non può determinare il sesso della persona le cui ossa si ritrova ad analizzare. La collaborazione dell'antropologia forense con altre discipline, ad esempio la genetica che può guardare ai cromosomi della persona da studiare, è fondamentale per assicurare sia accuratezza scientifica che correttezza morale e giustizia per le persone che non rientrano nel tanto cieco quanto limitativo ed errato paradigma binario.



Fonti:

- Garofalo, E.M., Garvin, H.M. (2020), The confusion between biological sex and gender and potential implications of misinterpretations, in Khales, A.R. (ed.), Sex Estimation of the Human Skeleton. History, Methods and Emerging Techniques, Academic PressElsevier, pp. 35-52
- Geller, P. (2019), The Fallacy of the Transgender Skeleton: Deep Time Perspectives on Contemporary Issues. In Buikstra, J.E. (ed), Bioarchaeologists Speak Out. Deep Time Perspectives on Contemporary Issues, Cham (Switzerland), Springer Nature, pp. 231-242
- Hoang, H., Bertrand, A.A., Hu, A.C., Lee, J.C. (2020), Simplifying Facial Feminization Surgery Using Virtual Modeling on the Female Skull, Plastic and Reconstructive Surgery - Global Open, 8 (3): e2618
- Irwig, M.S. (2018), Cardiovascular health in transgender people, Reviews in endocrine & metabolic disorders, 19 (3): 243-251
- Khosla, S., Davidge-Pitts, C. (2019), Skeletal considerations in the medical treatment of transgender people, The Lancet Diabetes and Endocrinology, 7 (12): 893-895
- Lundgren, T.K., Farnebo, F. (2017), Midface Osteotomies for Feminization of the Facial Skeleton, Plastic and Reconstructive Surgery - Global Open, 5 (1): e1210
- Wiepjes, C.M., Vlot, M.C., Klaver, M., Nota, N.M., de Blok, C.JM., de Jongh, R.T., Lips, P., Heijboer, A.C., Fisher, A.D., Schreiner, T., T'Sjoen, G., den Heijer, M. (2017), Bone Mineral Density Increases in Trans Persons After 1 Year of Hormonal Treatment: A Multicenter Prospective Observational Study, Journal of Bone and Mineral Research, 32 (6): 1252-1260



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